La documentazione storica così come la tradizione di matrice cristiana indicano inoppugnabilmente che il ristabilirsi di una consistente presenza abitativa sul promontorio si ripropose nel corso del V sec. d.C., connessa con la fondazione qui della chiesa dei SS. apostoli Pietro e Paolo. Le genti che qui confluirono o si arroccarono in corrispondenza dell'abbandono del villaggio di Ercula, sottoposto all'incursione dei Vandali, edificarono la chiesa dei due apostoli in ricordo dell'approdo su questo litorale nel 60 d.C. di S. Paol, la cui memoria era certamente già onorata nel villaggio costiero, in un luogo di culto in cui si abbinava la venerazione per il principe della Chiesa, martirizzato a Roma insieme al primo. Le vicende della guerra greco-gotica (535-553) già altrove illustrate, crearono i presupposti per la costruzione di un primo sistema difensivo sul promontorio. Esso sostanzialmente si componeva di un recinto fortificato di forma triangolare che inglobò gran parte del vertice della collina, includendovi l'area già consacrata ad Artemide e sconvolgendo l'elevato del tempio, i cui materiali di risulta vennero in parte riutilizzati nelle successive ristrutturazioni del Castello, in parte lasciati in sito o nelle immediate adiacenze, mentre altri elementi precipitarono a valle, nel pianoro prospiciente il lato est del fortilizio, raggiungendo come nel caso del rocchio della Vetosa, gli scogli a pelo d'acqua. La prima struttura triangolare della fortezza cacuminale è ancora riconoscibile entro i tre angoli acuti dell'attuale complesso, chiusi dalle tre posteriori torri cilindriche. Essa fu realizzata con una cortina muraria di circa due metri di spessore, che procedeva a chiudere a spigolo vivo gli angoli nord e sud, in modo da rendere superfluo l'impiego di torri angolari, mentre lasciava aperto l'angolo ovest per ospitarvi l'ingresso. I muri perimetrali vennero a costituire così il tracciato di base su cui fu operato ogni successivo intervento di potenziamento del sito. Tale fortezza, che ospitò in permanenza una guarnigione bizantina, esercitò un richiamo anche sulle genti vicine e deterrninò la formazione di un primo nucleo abitato, che ebbe il nome di ACROPOLIS (città posta in alto) in contrapposizione al centro litoraneo di Ercula, le cui rovine continuarono fino al Vll secolo ad essere utilizzate come luoga di sepoltura. Il kàstron, cioè il centro fortificato, di Agropoli andò rapidamente qualificandosi tra i luoghi più sicuri e protetti della regione, tanto che fu non solo in grado di fornire nel 590 adeguata ospitalità e protezione al vescovo di Paestum profugo dav.lnti all'avanzata dei Longobardi, ma restò poi per circa tre secoli sede del vescovato pestano, divenendo rapidamente la cittadella più importante sul versante tirrenico dell'antica Lucania ed esercitando un ruolo di controllo politico, amministrativo e militare sulla costa tra il Sele ed il golfo di Policastro, sostituendo nelle funzioni sia la città di Paestum che quella di Velia, avviate entrambe ad un rapido e definitivo tramonto. Per comprendere quale fosse allora la dimensione dell'insediamento urbano di Agropoli, va evidenziato il fattore della ridotta presenza umana su tutto il territorio, determinata sia dalle vicende belliche sia dalle ripetute calamità naturali che caratterizzarono il Vl secolo, per cui anche un nucleo di poche centinaia di abitanti assumeva proporzioni di tutto rispetto, pur dovendosi presumere che il ruolo di base navale militare abbia fatto registrare almeno periodicamente e temporaneamente un'alta densità insediativa ad un complesso urbano molto limitato rispetto al successivo sviluppo edilizio del promontorio. Date le ragioni storiche della sue nascita, il primo insediamento, sviluppatosi per aggregazione spontanea ad ovest del fortilizio triangoiare, lungo il declivio a solatio, fu in un primo tempo aperto, privo cioè di protezione che non fossero quelle naturali delle accentuate pendenze del terreno e degli strapiombi della roccia, ma certamente gli edifici presentavano murature alte, a più piani, con poche ed indispensabili aperture per l'aria e la luce, praticamente feritoie ai livelli più bassi o più esposti, caratteristiche che assieme a quella della stretta contiguità dei fabbricati costituiranno dei generali canoni di difesa per tutto il Medioevo. L'insediamenm si addensava prevalentemente nell'area dei quartieri detti in seguito PIETRA DEL SALE e PIETRA DEL PESCE , quartieri che anche nella denominazione mostrano un'origine più remota rispetto agli altri del centro antico, ma includeva anche parte del quartiere detto poi di CAPOSANTI. Questo primo nucleo urbano dovette sviluppare comunque un potenziamento difensivo già all'epoca della prima avanzata dei Longobardi a sud di Salerno, tra il 517 ed il 589, gli anni che precedettero l'insediarsi qui del vescovo di Paestum, giacché se la presenza militare bizantina sia nelle acque che all'interno della cittadella offriva buone garanzie di sicurezza, I'abitato non poteva prescindere da un suo autonomo sistema difensivo, almeno costituito come prima linea di sbarramento alla strada diretta al fortilizio in vetta. Pur dovendoci muovere in totale assenza di dati archeologici è difficile ammettere l'esistenza di un vero e proprio perimetro fortificato a completa o parziale protezione dell'abitato, che in ogni caso non ha lasciato tracce nell'ordito delle posteriori murature; pertanto appare più probabile che gli stessi edifici d'abitazione, giustapponendosi l'un l'altro, presentassero un fronte continuo ed una muratura più robusta lungo i versanti più esposti, lasciando spazio solo a qualche postierla e ad una sola porta a fronte del percorso della príncipale strada d'accesso, porta che va riconosciuta nella strozzatura ancora esistente a metà dell'attuale via Giuseppe Patella. Tenuto presente che la via maestra per raggiungere sia l'abitato che la fortificazione cacuminale era l'attuale via Filippo Patella, è evidente che questa doveva risalire con pendenza accessibile a cavalcature e a carriaggi attraverso la menzionata via Giuseppe Patella per uscire nella piazza della chiesa dei santi Pietro e Paolo, puntanto poi, pressoché in linea retta, verso Est per incontrare la fortezza in vetta, a cui accedeva dall'angolo ovest. Praticamente isolata sullo sperone roccioso detto "La Rupe" si ergeva la cappella della Madonna di Costantinopoli, la cui struttura sarà poi trasformata in chiesa nel XVI secolo. Con questa configurazione la cittadella restò per circa tre secoli il centro principale del Tema di Lucania, cioè della Lucania tirrenica, finché fu strappata ai Bizantini dai Saraceni nell'882. Sulle allora ridotte dimensioni dell'abitato depongono le fonti, che ricordano come gli Arabi, dato l'alto numero, fossero costretti a porre un campo permanente fuori dell'abitato nel luogo detto in seguito Campo Saraceno, corrispondente all'attuale Campo Gino Landolfi. La fase dell'occupazione araba, il cui inizio sarebbe più opportuno ridatare all'850, comunque conclusasi nel 915, non ha lasciato, salvo che nelle fonti storiche, nessuna altra testimonianza, né archeologica, né monumentale, tantomeno urbanistica; il solo elemento noto, un motivo decorativo ad archi presente sul fronte ovest del Palazzo baronale all'interno del Castello, appare chiaramente da riferire a posteriori influssi arabi di XI o XII secolo. Durante il restante periodo longobardo (915-1077) si registrò solo la progressiva riduzione della cittadella e del suo entroterra ad entita feudale sottoposta alla curia vescovile di Capaccio, fatto a cui indubbiamente deve attribuirsi la cancellazione di ogni traccia della presenza musulmana nell'abitato. Fu però in epoca norrnanna (1077-1189) che il centro recupero un ruolo amministrativo ed accrebbe la sua importanza economica rispetto ai territori circostanti. Infatti allora Agropoli fu innanzitutto costituito stabilmente in feudo, sempre concesso ai successivi vescovi di Capaccio, ed operò come fuicro direzionale di un'entroterra che comprendeva e superava alquanto le superfici degli attuali comuni di Agropoli e di Ogliastro Cilento, includendo i villaggi di Ogliastro appunto, Eredita, Pastina, Mandrolle, S. Pietro di Eredita, S. Marco e Lucolo, dei quali oggi sopravvivono solo i primi due. Come scalo marittimo funzionò poi come punto di convergenza di due importanti fenomeni economici: da un lato quello connesso alla ripresa aelle colture e dell'allevamento del bestiame nella pianura pestana, dall'altro quello sviluppatosi a seguito del notevole incremento agricolo promosso dalla Badia di Cava nell'entroterra collinare del Cilento Antico, collegato con Agropoli attraverso la "via di Laureana". A questo periodo devono assegnarsi sia la costruzione della cortina muraria che protegge a Sud l'abitato, sia la formazione del quartiere detto PIEDI AGROPOLI (v. fig. 2). L'originario impianto bizantino del Castello fu allora ampliato con l'aggiunta di un saliente triangolare nel lato nord, nel cui angolo più corto fu aperto un nuovo ingresso alla fortezza, realizzato secondo il sistema delle Porte Scee, già utilizzato in antico a difesa della porta "Marina" a Paestum, città fino ad allora abbandonata, che proprio in quel tempo, mentre veniva spogliata di colonne e marmi a vantaggio di Salerno, accoglieva un piccolo nucleo abitato. Il nuovo ingresso, pur presentandosi di più agevole difesa, era custodito comunque da un'altra torre quadrangolare, affiancata e realizata parallelamente al primo impianto del Palazzo baronale.